Perdonare ma non dimenticare
Soltanto due giorni prima ero riuscita a fare l’esame Pet-Tac che era stato rimandato la prima volta perché si era verificato un guasto al macchinario (?!?). Quindi dopo aver digiunato dalla sera precedente e dopo aver atteso tutto il giorno al reparto di medicina nucleare l’ora del mio turno, non potei fare altro che rassegnarmi e accingermi a tornare in reparto degenza.
Mentre ero in attesa dell’ascensore per raggiungere il settimo piano incontrai il primario che mi doveva operare.
“Allora signora Colotti, si sente pronta per fare la broncoscopia”?
Probabilmente neanche lo sapeva che avevo saltato la Pet e io non glielo dissi, e non si ricordava che stavo a digiuno dalla sera prima ed ero in uno stato leggermente pietoso, e non poteva neanche immaginare che non avevo nessuna intenzione di rifare quell’esame (brutto brutto brutto!!).
“No, non oggi” gli risposi, ma dentro di me pensai “fossi matta!” Subito dopo arrivò l’ascensore che avevo chiamato per salire fino al settimo e così mi sbrigai a salutare il dottore e mi infilai nella scatola di metallo quasi di corsa.
Al reparto parlai con la caposala e le dissi che il macchinario per la Pet era fuori uso e che avrei dovuto aspettare l'indomani per fare l’esame, così lei mi informò che ci sarebbe voluta un’altra richiesta del medico per poter prendere un nuovo appuntamento con la medicina nucleare. E chissà quando lo avrebbero fissato...
Per la miseriaccia!! Stavo rischiando di dover fare un’altra broncoscopia e la settimana era quasi finita: non potevo uscire dall’ospedale senza aver fatto una Pet Tac così tornai giù e chiesi delucidazioni sul macchinario.
“E’ ancora fuori uso?”
“No siamo riusciti a ripararlo”.
“Ah bene, allora quando tocca a me? O dovrete inserirmi in un nuovo appuntamento? Spero proprio di no, visto che ero già in fila e non è certo dipeso da me se ho saltato il turno”.
“Ma non so se posso... ora vediamo...”
“Sia gentile lo trovi un posto tra un appuntamento e l’altro, è davvero urgente...”
“Come si chiama? ... Ah sì ecco il suo appuntamento mancato. Guardi, facciamo così: venga domani mattina a digiuno che la inserisco... ho anche la richiesta del suo medico qui... bisogna solo cambiare la data...”
“Grande!” pensai fra me e me, quindi presi il foglio che mi porse la ringrazia e felice la salutai.
Ovviamente il mio pensiero andò subito ad Abba e al suo volere.
Quando tornai in reparto e lo raccontai alla caposala lei non potè credere alle sue orecchie.
“Ma cosa gli hai detto per farti inserire così presto?”
Le spiegai com’era andata la conversazione mentre lei ripescò la copia della vecchia richiesta per farne fotocopia e renderla valida con il cambio data. Non so a chi dovesse andare la copia, forse bisognava inserirla nella mia cartella clinica, fatto sta che mentre la cercava per correggerla, continuava a manifestare la sua incredulità per il fatto che neanche una nuova richiesta dovesse essere inoltrata al reparto di medicina nucleare.
Dopo aver riportato il foglio in questione alla segretaria mi fermai ancora una volta in cappella per ringraziare Abba dell’assistenza. Poi sentii il telefono squillare: erano venuti a farmi visita ma non mi avevano trovato e quindi...
“Ma dove stai?”
“A pian terreno, perciò vediamoci in giardino che si sta meglio al sole”.
Mariasole mi disse che mio padre avrebbe avuto piacere a farmi visita e quindi mi chiese se poteva venire. Detta così sembra strano ma erano almeno vent’anni che non lo vedevo. Avevo solo sue sporadiche notizie, così come lui certamente le aveva di me.
Era giunto il tempo di appianare le divergenze familiari che mi avevano portato ad allontanarmi dal nucleo. Tuttavia, il dolore che questa vicenda mi aveva provocato era stato molto grande e quindi tentennai un po’ prima di decidermi a dire “sì”.
Venne il giorno dopo, con la mia “nuova e sconosciuta” sorellina mentre ero in attesa del mio turno per la PET.
In quel preciso momento io stavo dando una copia del testamento di Giovanni Paolo ad un signore che era in sala d’attesa con me, ma c’erano anche altre 20 persone circa. Non so perché scelsi proprio lui ... forse perché mi ricordava mio padre? Ci scambiai due parole prima di dargli le fotocopie e così venni a sapere che lui non credeva in Dio. Tuttavia gli chiesi ugualmente di leggere quei quattro fogli, visto che era in attesa e non aveva nient’altro da fare. Poi magari li avrebbe lasciati sulla sedia e qualcun altro gli avrebbe dato una letta... (passa parola!)
Più gli parlavo e più mi veniva in mente mio padre, ed è stato allora che l’ho visto entrare in sala. Mi ha riconosciuta subito. Ci siamo salutati ed è stato come se tutti quegli anni non fossero mai passati, ma la nuova sorellina e i miei capelli bianchi erano lì a testimoniare che era trascorso eccome tutto quel tempo. Ovviamente la piccola non poteva restare lì, reparto medicina nucleare. Per non parlare poi del fatto che un ospedale non è davvero il luogo più adatto ad una bambina! E quindi, dopo essere stati ammoniti dagli infermieri, uscimmo in corridoio.
Ero contenta sì, ma ero anche preoccupata per il mio esame: tempismo imperfetto direi! E se mi avessero chiamata mentre ero fuori?
Non riuscireste neanche ad immaginarlo quanto ho camminato e faticato (anche mentalmente) quel giorno! Ogni tanto andavo ad informarmi a che punto era il mio turno per poi tornare fuori a “gestire” la visita familiare. Insomma quell’incontro si stava svolgendo in modo un po’ troppo stressante per me. Non era così che mi aspettavo di viverlo, ma questo era quanto.
Stress... come al solito... non era cambiato niente, riflettei fra me e me.
Dunque per non far stare la bambina giù in quel reparto “tossico” dissi all'infermiera che sarei andata “un momento” su in degenza e che se nel frattempo fosse arrivato il mio turno di farmelo sapere telefonando alla caposala del reparto (della serie “mo’ torno”!).
Così, tornata su, ci accomodammo nella sala delle visite e facemmo una chiacchierata “normale” poi però, ad un certo punto, decisero di lasciarmi sola con la bambina mentre Mariasole e mio padre andarono a parlare con i medici (ah ah ah grande impresa!).
Loro non me lo dissero apertamente, ma quale motivo avrebbero avuto di allontanarsi se non quello?
La mia preoccupazione crebbe a dismisura (ed ecco aggiunto altro stress), perché se mi avessero chiamato proprio in quel momento come avrei potuto gestire la cosa?
Intanto la bambina sprigionava tutta la sua energia che io non ero in grado contenere e di ricambiare nella giusta misura, e mentre la seguivo si affacciò la caposala per dirmi che avevano chiamato da medicina nucleare.
Amen!
Loro erano spariti, il mio turno era arrivato, la bambina non poteva essere lasciata sola e non poteva venire con me... “E mo’ come ne esco?” pensai.
Mi venne in mente di lasciarla in stanza con una delle altre degenti che però non era disponibile (aveva visita parenti) e quindi alla fine decisi di portarla con me (non potevo perdere un’altro appuntamento e mi stavo chiedendo perché mi avessero messo in questa situazione:
“Ma tu guarda un po’! sono vent’anni che non ci vediamo e già mi fai trovare in difficoltà? ... non è cambiato proprio niente, valà!” continuai a riflettere, ma subito dopo mi dissi che comunque fosse, cambiato o non cambiato, il perdono doveva significare cominciare. Il passato era passato ed era tempo di nuovi rapporti... Certo che però questo nuovo rapporto stava cominciando maluccio eh? ma avrei avuto modo e tempo di aggiustarlo. Io non ero più la stessa persona di ieri e questo mio padre doveva capirlo.
Quando scesi giù parlai di nuovo con la segretaria e le chiesi se poteva scambiare il mio turno con quello della persona successiva, visto che mi avevano lasciato la bambina e non sapevo come fare, e anche questa richiesta fu accolta (meno male!).
Dopo un quarto d’ora circa finalmente vidi arrivare mio padre e mia sorella. Anche loro avevano camminato parecchio visto che non ci avevano trovate dove ci avevano lasciate, ma chilometri a parte, questa vicenda mi aveva insegnato che anche nelle situazioni critiche sapevo sbrigarmela da “sola” e al meglio!
Sola?!
In verità credo con tutta me stessa che non siamo mai lasciati soli, e che spesso non ce ne rendiamo neanche conto. Ma a proposito di questa mia convinzione, non c’è niente di meglio che leggere una bellissima poesia che esprime perfettamente quanto ho appena detto.
La prima volta che l’ho letta io è stato proprio durante il ricovero al PTV. L’ho trovata mentre sbirciavo tra gli scritti apposti nella bacheca dell’atrio della cappella.
Qualche anno dopo mi è stata inviata via email dall’amico di un amico che nulla poteva sapere di me. E siccome (ormai è risaputo) per me le coincidenze non sono mai soltanto semplici casualità, ho deciso di trascriverla qui di seguito.
Orme
Una notte una donna fece un sogno.
Sognò di passeggiare lungo la spiaggia con il Signore.
In cielo balenavano scene della sua vita.
Per ciascuna scena notò due serie di orme sulla sabbia:
una apparteneva a lei e l'altra al Signore.
Quando gli fu balenata davanti agli occhi l'ultima scena,
si voltò a guardare le orme e notò che molte volte
lungo il cammino vi era una sola serie d'impronte.
Notò anche che questo avveniva
durante i periodi più sfavorevoli e più tristi della sua vita.
Ne rimase disorientata e interrogò il Signore.
"Signore, tu hai detto che se io avessi deciso di seguirti,
tu avresti camminato tutta la strada accanto a me,
ma io ho notato che durante i periodi più difficili della mia vita vi era una sola serie di orme.
Non capisco perché, quando avevo più bisogno di te, mi hai abbandonata".
Il Signore rispose:
"Mio amata figlia, io ti voglio bene e non ti abbandonerei mai.
Durante i tuoi periodi di dolore e sofferenza,
quando vedi solo una serie di orme,
quelli sono i periodi in cui io ti ho portato in braccio".
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