Tempo di andare
Sabato 30 Aprile 2005:
Erano le 6.30 del mattino quando telefonai a Mariasole per dirle che avrei firmato per uscire dall’ospedale. Potevo chiamarla anche più tardi, ma invece no. La svegliai. E tutte le volte che ci penso mi dispiace sempre di aver avuto così tanta fretta di comunicarle questa mia decisione. In quel momento pensai soltanto di volerle dare tutto il tempo per prepararsi con calma per venirmi a prendere. Da casa all’ospedale ci s’impiega un’ora e trenta minuti circa, poi doveva avvisare pure Moshé e calcolai che telefonando a quell’ora sarei tornata a casa forse per il pranzo. Mah, probabilmente il fatto di averla informata così presto serviva soprattutto ad impegnare me stessa a fare questo passo, e infatti così fu.
Chiusa la comunicazione terminai di preparare il bagaglio e cercai i dottori prima che s’infilassero di nuovo in sala operatoria. Dovevo firmare la dimissione e mi servivano loro. Non potevo farlo attraverso le infermiere.
Naturalmente rimasero un po’ allibiti, sorpresi, ma pure sbalorditi da “cotanto coraggio”. In fondo il pomeriggio precedente avevo addirittura bisticciato col primario e la discussione era trascesa al punto che arrivò a dirmi:
“Mi sta facendo innervosire fin troppo, mi sta esasperando e non riesco ad immaginare come mi sentirò il giorno in cui la troverò in sala operatoria...”
“Non si preoccupi di questo perché io le mani addosso da lei non me le faccio mettere davvero!” così conclusi la mia chiacchierata accesa con quella persona boriosa, e credo proprio che gli altri l’abbiano sentita pur se non erano presenti (magari erano dietro l’angolo del corridoio!).
Eppure, la goccia che fece traboccare il (mio) vaso non fu neanche quest’ultimo scambio di battute ma la risposta che mi diede quando gli chiesi di mandarmi in un altro ospedale che non avesse l’aria condizionata:
“...magari il San Camillo” (suggerii).
Non l’avessi mai fatto:
“...e cosa crede che io la mandi alla concorrenza?!”
La concorrenza!!! Usò proprio questa parola...
La mattina stessa, dopo aver firmato e salutato le infermiere (quelle non sciattone!), in particolare “Stella del Mattino” e i medici-coda-del-primario che stavano quasi per strizzarmi l’occhio tanto mi sembrarono compiaciuti, contattai ancora una volta il primario dell’ospedale di Albano per informarlo dei miei passi successivi (mi sembrava doveroso!) e lui mi ricordò di andare a ritirare il risultato della PET prima di uscire di lì
A quanto pare non avrei potuto farlo ma, non so come (...) mi riuscì anche questa impresa impossibile.
Moshé e Mariasole vennero a prendermi e finalmente tornai a casa. Ora mi sarei rilassata qualche giorno prima di andare al Forlanini. Il primario delle Monachelle era riuscito a prendermi un appuntamento da lì a qualche giorno. E’ stato un grande, non c’è che dire! Il primario del PTV invece, non voleva che “passassi alla concorrenza” e non aveva mosso un dito per indirizzarmi in un altra struttura (un medico non deve preoccuparsi di far star bene un malato? e se l’aria condizionata si era rivelata il mio primo nemico, non avrebbe dovuto rimediare a questo inconveniente?). Il primario delle Monachelle ci teneva al mio benessere e questo mi bastò per constatare quanto valesse un uomo e quanto l’altro...
Il 30 aprile... Nello stesso giorno ma di 11 anni dopo (2016) mi sarei trovata a partire per Pistoia e a sottopormi alla cryoablazione: un trattamento anticancro privo di effetti collaterali (tornerò su questo a cronologia debita!)
Giovedì 5 maggio:
L’appuntamento era stato fissato per le 07.00 al Forlanini e Moshé ed io avevamo giustamente pensato che fosse per il ricovero immediato, ma l’incontro con il primario fu decisivo per una scelta diversa.
Non credevo fosse così puntiglioso: di solito ci si arrabbia per un ritardo non per un anticipo... Noi eravamo arrivati un quarto d’ora prima dell’appuntamento (con borsa e documenti al seguito) e aspettammo in saletta d’attesa mentre lui era impegnato con un’altra utente ammalata. Quando vide che eravamo lì ci sgrido come se fossimo stati scortesi, e con che piglio si rivolse al mio compagno! Un atteggiamento davvero aggressivo che non riuscii proprio a mandare giù. Così, senza dire una sola parola, gli risposi a gesti (non volevo nemmeno una discussione certo, ma non potevo permettere che trattasse a quel modo Moshé soltanto perché eravamo arrivati in anticipo). Io ero dietro il mio compagno, e mentre il primario gli inveiva contro gli facevo il segno con la mano di stringere, di tagliare corto, di non fare tardi con il nostro appuntamento perdendosi in chiacchiere inutili.
Il mio sguardo furioso (ero davvero contrariata) e il mio gesto ebbero effetto immediato, perché probabilmente non se lo aspettava. E d’altronde quale persona che deve essere ricoverata per sottoporsi ad un'intervento chirurgico risponde in quel modo al primario che deve prenderla in cura?! (eh... caro primario sono-tutto-io-e-voi-non-siete-un-c... con me non attacca anzi, attacco!!). E così smise di polemizzare e andò con le persone che aveva appena ricevuto,a sistemare il loro appuntamento con il caposala, poi tornò con un altro dottore al seguito. Entrambi entrarono nella stanza ma non fecero entrare noi.
Il primario disse all’altro dottore di prelevare i miei documenti e soltanto dopo averli visionati ci ricevette.
Cercò di mettermi in difficoltà chiedendomi questo e quel documento, ma io misi sul tavolo ogni cosa a qualsiasi sua richiesta (vuoi questo? eccotelo. vuoi quello? eccotelo... lo spiazzai ancora una volta...).
Non gli era andata proprio giù la mia reazione di poco prima, ma ora invece di essere seduta dall’altro lato della scrivania ero di fianco a lui a consegnargli tutti i documenti che mi stava chiedendo.
Deve aver pensato di avere a che fare con una persona che non si comporta con lo schemino prevedibile che il suo comportamento solito causava in chi lo subìva, e infatti ci misi poco a scoprire che quello era il suo atteggiamento caratteristico (diciamo così, caratteristico). E quante parolacce ci metteva nel suo dialogo!! Ma ecco, ora eravamo in due a non essere prevedibili nei comportamenti e nei dialoghi...
Guardando i documenti e gli esami vide che la cosa era abbastanza grave, ma quando si rese conto che ero passata anche al PTV prima di arrivare da lui, tornò ad essere non poco furioso. Voleva addirittura telefonare al primario delle Monachelle per dirgliene quattro per non avermi indirizzata direttamente da lui (ma tu guarda questo! pensai). Però quando lo disse, subito lo ammonii dicendogli che quella persona che voleva cazziare mi aveva aiutata moltissimo ad uscire da una situazione critica e che lo avevo tempestato di telefonate fino al giorno prima. Lo informai sul fatto che quelle erano state decisioni mie e che lui non c’entrava.
Credo fu questo mio comportamento a fargli prendere la decisione di farmi ricoverare più in là, e non subito come era logico sarebbe dovuto accadere. I posti liberi c’erano, lo vidi con i miei occhi, ma lui mi diede appuntamento per un ricovero di tre giorni e soltanto per fare una biopsia (il 13 maggio).
Ma che bisogno c’era di fare una biopsia? ricordo di essermi chiesta, e a tutt’oggi ancora non lo capisco perché ce ne sia bisogno. Non sono sufficienti gli esami diagnostici a stabilire con cosa si ha a che fare? ... Il protocollo...
Tuttavia questo lasso di tempo fu utile alla mia tranquillità mentale, perché inoltre ebbi modo d’informarmi sulla più adeguata struttura a cui rivolgermi per il mio caso, e la scelta del Forlanini risultò che non era affatto sbagliata. Ed ebbi modo anche di conoscere un po’ meglio l’alieno che aveva invaso il mio corpo. Tuttavia ne sapevo ancora troppo poco, e non mi rendevo realmente conto della situazione in cui mi trovavo.
Nessun commento:
Posta un commento