giovedì 3 febbraio 2011

Sanità e Santità (13)

27 Maggio 2005:

L’appuntamento con l’oncologa era alle 7.30. Presentarsi a digiuno al Day Hospital, V unità Operativa. Non avevo capito che quella stessa mattina mi avrebbero fatto il prelievo del sangue, l’elettrocardiogramma e la trafila per aprire la cartella clinica. In pratica trascorsi tutta la mattina in quel reparto e dintorni, e quando poi finalmente fu il mio turno di parlare con la dottoressa, subito le chiesi:
“Vorrei sapere qual è la stadiazione del mio cancro stando al sistema TNM. Si tratta forse del secondo stadio?”
Lei mi guardò sorpresa prima di rispondermi. Capii che non era una domanda che si sentiva rivolgere così spesso. “Mi sono informata” pensai fra me e me, guardandola a mia volta in attesa di una risposta.
“E’ un terzo stadio con metastasi, quindi secondo il TNM è un 3aN2” disse tagliando corto con la sua caratteristica freddezza (o forse è meglio dire "distacco"), ma non riuscì a nascondere un che di ammirazione per questa piccola donna che si era informata sul male che l’aveva aggredita, e che domandava e prendeva appunti, e che pur di essere maggiormente informata aveva aggiunto anche un’infarinata di “dottorese” alla sua cultura variegata.
Sì, avevo letto e mi ero informata ma non avevo smesso di essere come “il miglior sordo” e quindi avevo “sperato” che il mio caso fosse un secondo stadio (non volevo che fosse terzo-quasi-quarto! e speravo che lei me ne desse la conferma, però così non fu e io con me stessa feci ancora una volta la figura di “quella che non vuol sentire”...)
Dall’esame istologico l’oncologa aveva potuto verificare che secondo il sistema TNM la stadiazione era classificata come stadio IIIa N2 M0. Questo sistema, adottato universalmente anche per il CPNPC (carcinoma polmonare non a piccole cellule, cioè il macrocitoma) si serve di tre parametri per stimare la prognosi, definire la terapia più adatta e valutare i risultati:
fattore T = tumore primario
fattore N = coinvolgimento linfonodale
fattore M = metastasi a distanza
Una volta uscita dal Day Hospital mi ritrovai con tante nozioni in più, con una cartella clinica nuova, con quattro medicine da prendere e con un’altra ricerca da fare.
“Lo scopo è di ridurre l’emottisi, rimpicciolire il più possibile l’area colpita dal cancro e ripristinare l’emoglobina almeno a 10.30 altrimenti non potrà cominciare la chemioterapia”.

“Chemioterapia... chemioterapia... chemioterapia...”
Questa parola entrando dalle orecchie era salita al cervello e ne aveva preso il controllo. Girava e rigirava fra i neuroni in attesa di essere elaborata, e sembrava proprio di non volerne sapere di lasciare la mia mente.
Dovevo informarmi sulla sua natura, sugli effetti e sulle controindicazioni, ma dovevo anche imparare a farmi le iniezioni perché tra le quattro medicine che dovevo assumere, due erano per via sottocutanea e un’altra intramuscolare...
Dormivo poco e niente (non ci riuscivo proprio) e di tempo ne avrei avuto a iosa sia per informarmi che per imparare, ma... non rischiavo un sovraccarico di informazioni? E ce l’avrei fatta psicologicamente a sopportare questo carico? Nonostante i dubbi già sapevo che non avrei mollato la presa perché volevo essere presente-attiva (e non presente-passiva) nel processo della cura, della guarigione.
Certo non avevo immaginato che la chemioterapia sarebbe cominciata dodici giorni dopo il mio primo appuntamento con l’oncologa, e quindi, che quel tempo che credevo sarebbe stato abbastanza lungo per imparare qualcosa sulla temibile cura, sarebbe invece stato davvero breve. Così tanto breve, che non avrei fatto in tempo nemmeno a sapere se c’era anche la possibilità di fare cure alternative che non avrebbero lasciato quei segni indelebili...

2 commenti:

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paxil

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(a questo proposito consiglio di leggere anche questa intervista http://parliamodicancro.blogspot.it/2013/12/il-cervello-anarchico.html)